lunedì 1 ottobre 2012

Gli occhi di Shlomo



Salomone, uomo di saggezza. Valeva certamente per il Re degli Ebrei, che alla ricchezza e alla fama preferì il dono del discernimento, venendo beneficato da Dio per il coraggio della sua scelta. Uomo di saggezza era certamente anche Shlomo Venezia: il nome del grande Re, per cognome la città di una delle maggiori comunità ebraiche della storia, aveva saputo mostrare la sua “sapienza del cuore” molte volte, dopo anni di doloroso silenzio.
Non era un uomo comune, Shlomo: non può esserlo chi ha visto con i propri occhi l’inferno creato da altri uomini, apparentemente in tutto simili a lui. Meno che mai può sentirsi “uomo comune” chi è stato costretto, suo malgrado, a collaborare a quell’inferno. Shlomo era tra i pochi ad aver raccontato, con precisione tanto assoluta quanto dolorosa, l’esperienza dei Sonderkommando, le squadre speciali di deportati, in gran parte di origine ebraica, obbligati a collaborare coi nazisti all’interno di Auschwitz-Birkenau, come pure in altri campi di sterminio. Per lungo tempo le parole non erano riuscite a uscire, dagli occhi, dal cuore e dalle labbra di Shlomo: troppo grande l’atrocità per essere narrata e, soprattutto, creduta.

sabato 1 settembre 2012

Esclusiva, non c'è due senza tre: l'intervista al terzo candidato alle primarie Pd


La novità può emergere all'improvviso ed esplodere in poco tempo: tra Bersani e Renzi, arriva il terzo inatteso. E nuovo. Ecco l'intervista esclusiva al nuovo candidato alle primarie del Pd, il 30enne napoletano Peppe Maiello. 

* * *

Maiello, perché ha scelto di candidarsi alla guida del Pd e del Paese? Non ci sono già abbastanza candidati?
Il punto fondamentale è che la passione politica non si compra, proprio per il valore che ha. Non si compra perché non si corrompe e non deve corrompersi. Non sono disposto a rinunciare ai miei valori in cambio di promesse o incarichi, perché li sento veri e avverto che sono condivisi: per questo ho sentito il bisogno di mettermi in gioco, per dare spazio a chi crede davvero a quei valori e vuole vederli difesi e tradotti in pratica.

Di quali valori parla?
Penso innanzitutto ai diritti, perché non si può pensare a un progetto di partito e di paese senza avere i diritti al centro. I diritti, naturalmente, non sono una pretesa pura e semplice: sono innanzitutto la consapevolezza di “esserci”, come persone e come comunità. “Esserci” comporta avere necessità, bisogni, esigenze, che meritano di essere soddisfatte, pur trovando dei punti di mediazione: per questo i diritti comportano anche dei doveri, altrimenti il gioco salta.

Quale diritto sente come prioritario?
Senza dubbio il lavoro: oggi è il bisogno fondamentale di tutti noi. Lo dico da trentenne, da persona, da cittadino. È impossibile che una persona possa vedere riconosciuta la sua dignità se non trova il “suo” lavoro, quello con cui può dare con passione un contributo alla società e alla sua stessa vita. Non si tratta di prendere o pretendere uno stipendio: ognuno di noi ha bisogno di progredire e può farlo solo se ha la possibilità di lavorare, le competenze di tutti devono avere il loro sbocco naturale.

In che senso «uno sbocco naturale»?
Il pensiero di una persona che ha completato con passione un percorso di studio e non riesce a trovare spazio perché il suo posto è già “occupato” è semplicemente folle, non possiamo più permettercelo. I datori di lavoro dimostrino che è possibile fare impresa in un modo illuminato, aprendo gli occhi su quello che ognuno sa o può saper fare, senza paura di puntare su di loro. È l’unico modo che abbiamo per sviluppare correttamente la nuova società che ci meritiamo.

A quale società guarda?
A una società in cui ciascuno possa vedere garantito ciò che sente come “bene comune”. Il mio impegno deve servire ad affermare con chiarezza la centralità del sapere, come leva fondamentale per accedere allo sviluppo; deve difendere in modo fermo la gratuità del sistema sanitario, che garantisca prestazioni gratuite per i bisogni veri. Deve avere coscienza che la sicurezza è sentita fondamentale da tutti e la legalità è un punto irrinunciabile per qualunque “appassionato di democrazia”.

Il suo obiettivo finale?
Senza dubbio, darci una possibilità. Possibilità come opportunità di fare, di sapere, di crescere. Possibilità come voglia di concretezza che aspetta solo il momento di farsi toccare. Possibilità come occasione di guardarsi intorno, in un universo che coincide con gli Stati Uniti d’Europa cui dobbiamo necessariamente tendere. È un sogno che merita di diventare realtà: dobbiamo darci lo spazio per cambiare la nostra vita e quella del nostro Paese. Senza passione non si può fare.  

Il link al sito ufficiale di Peppe Maiello: http://perpassione.facciopolitica.com/

lunedì 4 giugno 2012

«Io sono Paolo e amo il mio Paese»


C’era un sacco di gente per strada quel giorno, nel centro di Roma. La cosa si ripeteva ormai da anni, ogni secondo giorno di Giugno, almeno da quando, nel 2001, l’insistenza cortese ma ferma di un Presidente, che aveva visto lo sfacelo della Guerra e sentiva l’importanza di restituire alla ricorrenza della Repubblica la dignità che meritava, riportò la Festa nella capitale.
Non tutti, però, erano venuti in pace, prima di tutto con sé stessi. Per tante, convinte persone, quel giorno non c’era niente da festeggiare. O, per lo meno, niente per cui sfilare. Quei soldi, se proprio si dovevano spendere, era meglio farli arrivare in quelle terre che, tremando, avevano distrutto vite, case, capannoni, ricordi, posti di lavoro, oggetti del cuore, sforzi durati anni. Alcuni, compresi quelli che non avevano mai preso in mano un’arma e non comprendevano il senso di una parata militare nel giorno in cui si festeggiava una ricorrenza di pace, cercarono di spiegare che, questa volta, annullare tutto era forse possibile, ma perfettamente inutile. I palchi erano già stati montati e la gente si doveva pagare, le persone che dovevano percorrere via dei Fori imperiali erano quasi tutte a Roma, quindi si sarebbe risparmiato ben poco, rispetto alla spesa totale: per l’anno nuovo si poteva pensare di togliere la parata, ma per quest’anno ormai era fatta.
Qualcuno aveva preparato striscioni e megafoni, era pronto a gridare «Vergogna!» e anche «Ladri!» davanti ai primi corpi militari che sarebbero passati: forse qualcuno l’avrebbe fermato, ma sarebbe andata bene comunque, tutto pur di dire ciò che si pensa. Non è forse la Costituzione della Repubblica a dire che tutti possono manifestare liberamente il proprio pensiero? E allora che volete da noi?
Si misero ordinatamente dietro le transenne, un po’ lontani dalla tribuna presidenziale, per evitare che la polizia desse più noia del necessario. Quando videro arrivare da lontano l’inizio del corteo, alzarono lo striscione e, tempo qualche manciata di secondi, iniziarono a scandire: «Ver-go-gna! Ver-go-gna!» «Ma vergogna a chi??» La sentirono in pochi, quella risposta, pronunciata da una voce con accento romano, appena venata dalla raucedine, ma chi la avvertì rimase straniato: si fermò e invitò i vicini di protesta a tacere per un attimo.

domenica 15 aprile 2012

Edmondo, quel gran genio del mio Mito


Edmondo Berselli
L’11 aprile di due anni fa si è allontanato per un po’ da questo mondo Edmondo Berselli. Ha lasciato per un lungo momento la sua vita di là, con passo felpato, mettendoci a disposizione un tesoro smisurato, fatto di pensieri, riflessioni, spunti, battute, calembour, letture mai banali su ciò che era accaduto e quello che doveva ancora succedere.
Sono arrivato a stimare Berselli alla follia, pur avendolo ascoltato dal vivo e incontrato per pochi minuti solo due volte. E pensare che il nostro primo contatto di pagina scritta era stato un po’ indigesto… Lessi la prefazione che aveva scritto a Emozioni, un libro di Tullio Lauro e Leo Turrini su Lucio Battisti: mi sembrava talmente “surreale” ed “esagerata” – in tutto, nella ricercatezza della lingua e del ritmo, nella lode sperticata a Panella, nella minimizzazione delle liriche mogoliane – da farmi chiedere da quale pianeta venisse quell’uomo, dal cognome che sembrava denunciare un’origine bassaiola (fece notare lui stesso la radice comune tra Berselli e Brescello).

sabato 31 marzo 2012

40 anni di storia italiana con Pubblicità Progresso


La copertina del libro
Pensi a una pubblicità ben fatta, ma di quelle un po' strane, in cui non c'è un prodotto da propagandare, ma un atteggiamento da valorizzare o un comportamento da evitare perché è cattivo. Pensi a questo e ti vengono in mente subito due parole è un logo: «Pubblicità Progresso», con la sua «P» racchiusa in un ovale, un po’ come quegli adesivi che un tempo si attaccavano alle auto per indicare la nazionalità e passare tranquillamente la frontiera. Da un certo punto di vista è andata proprio così: è stata Pubblicità Progresso a creare in Italia, 41 anni fa, un modo del tutto nuovo di fare promozione, utilizzando gli strumenti della comunicazione a fini sociali e acquisendo nel tempo i tratti di un fenomeno pressoché unico e ben riconoscibile nel mondo della pubblicità.
A raccontare quella storia, decisamente particolare e in gran parte sconosciuta, provvede oggi un libro, edito da Rai Eri, intitolato semplicemente Pubblicità Progresso. La comunicazione sociale in Italia. Si tratta di una narrazione a più voci (compresa quella del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha firmato la prefazione), fatta di ricordi, analisi, dati e diverse immagini, elementi che tutti insieme permettono di costruire l'immagine completa di una presenza fondamentale del mondo della comunicazione, anche se non abbastanza conosciuta dal grande pubblico: a parte gli addetti ai lavori, tuttavia, pochi sanno cosa sia effettivamente quella realtà e come operi.

venerdì 16 marzo 2012

30 marzo, ore 11: ritorna la Dc?


Per qualcuno il 30 marzo potrebbe essere una data importante, di quelle da segnare sul calendario, rigorosamente con un pennarello azzurro: per quel giorno, infatti, sembra previsto il risveglio (o, se si preferisce, la rianimazione) della Democrazia cristiana. Non è fantascienza, né si tratta di cronaca dal passato: a spulciare bene la Gazzetta Ufficiale, parte II del 13 marzo, tra le convocazioni d'assemblea si ritrova un annuncio intitolato «Democrazia cristiana - Convocazione Consiglio nazionale Dc». "Quella" Dc, almeno secondo l'intenzione dei promotori.
A firmare la convocazione (anzi, l’autoconvocazione, ai sensi del vecchio statuto) è il quasi 85enne Clelio Darida, già sindaco di Roma e più volte ministro: l'ordine del giorno prevede sei punti, a partire dalla riapertura del tesseramento e dal ripristino degli organi nazionali del partito, fino a convocazione del congresso nazionale e alla «approvazione di un documento politico che tracci il percorso dell'illegittima liquidazione della democrazia cristiana e definiti i nuovi parametri politici di insegnamento dei valori e della cultura democristiana della società di oggi». Nientemeno…

mercoledì 14 marzo 2012

La benzina che corre


A molte, troppe cose, in Italia facciamo l'abitudine in fretta. Anche quando, per il nostro bene, non dovremmo abituarci mai. Non ci stupisce più sentire di incidenti sulla Salerno - Reggio Calabria, di code tra Roncobilaccio e Barberino di Mugello, di persone cui in estate saltano le cervella e che decidono di sterminare mezza famiglia con un'arma spuntata da chissà dove; non ci sorprendiamo a trovare sempre nelle pagine politiche un articolo intitolato «Il retroscena», a sapere che Vespa ha scritto un altro libro o che hanno arrestato un uomo politico – il colore non importa – perché è accusato di essersi intascato soldi che non avrebbe dovuto ricevere.
Non c'è da meravigliarsi, allora, se ci stiamo ormai abituando anche alla «corsa dei prezzi dei carburanti» (i giornalisti la chiamano proprio così, quasi tutti, con poche eccezioni). Sembra ormai una clausola di stile, quasi una certezza nei titoli dei telegiornali come nelle chiacchiere da bar: chi ha buona memoria si fa venire in mente l'impennata dei prezzi di petrolio e derivati dopo la guerra del Kippur, a partire dal 1973 (fu così che gli italiani finirono per abituarsi alla parola austerity); i cultori della cultura nazionalpopolare hanno buon gioco a ricordare Celentano e il pragmatico incipit di Svalutation (scritta assieme a Gino Santercole, Luciano Beretta e l’immortale “azzurro” Vito Pallavicini), per cui nel ’76  «la benzina ogni giorno costa sempre di più / e la lira cade e precipita giù».

venerdì 9 marzo 2012

Guida allo sport visto dai teleschermi


C’è da sperare che l’Italia sia qualcosa di più che un paese «con la crema da barba alla menta / con un vestito gessato sul blu / e la moviola la domenica in tv». Eppure Toto Cutugno, in quei versi vecchi quasi di trent’anni, ha colto un punto fondamentale dell’Italiano: oggi come allora, difficilmente rinuncia a guardare il calcio in televisione. A fare la storia delle immagini sportive emesse dai teleschermi (prima in bianco e nero, poi – sia pure con ritardo rispetto ad altri paesi – a colori) si finisce per raccontare anche la storia di chi si è avvicendato davanti ai televisori, nei bar come nelle case.
Lo aveva capito bene Pino Frisoli, uno dei massimi esperti di storia della Tv (non solo sportiva) e documentatore a Rai Sport, che nel 2007 aveva scritto il primo libro ragionato in materia, La Tv per sport (pubblicato da Tracce): già allora per l'autore quella dello sport in televisione era «una storia che meritava di essere raccontata», fatta di grandi eventi con adunate di pubblico ma anche di gare che oggi fanno notizia proprio perché sui teleschermi non riuscirono ad arrivare (oppure perché non potevano andare in diretta). A distanza di quattro anni, il libro di Pino è nuovamente disponibile per gli appassionati, ma in una veste decisamente rinnovata. Il nuovo titolo è Sport in Tv, l'editore è la ben più blasonata Rai Eri, ma soprattutto accanto al nome di Frisoli è apparso quello di Massimo De Luca: lui, all'interno del libro, si è riservato il racconto di alcune delle tante vicende narrate in quelle pagine, svolto con l'autorevolezza di chi ne è stato testimone e il gusto raffinato per i particolari e i retroscena.

martedì 6 marzo 2012

Il mondo giù dalla rampa


«Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse» (J. Keating)

A volte ci vogliono quindici anni, forse qualcosa in più, per cambiare punto di osservazione. Anche se, in altezza, quei punti distano giusto cinque metri. Anche se, in fondo, vicino a quel punto la tua macchina ci è passata tante volte.
Sembrava così alta, quella discesa di terra, dal centro di quel giardino, tra un casotto per gli attrezzi, i piloni di cemento armato che reggevano il filo, le piante che facevano ombra e quel dondolo di ferro dipinto di bianco, con le tende un po’ stinte a fasce verdine e marroncine, dove veniva naturale sedersi disdegnando le sedie del tavolino, un po’ arrugginite.

giovedì 1 marzo 2012

Il mare di Lucio


Lucio Dalla a Sanremo
La mia strada e quella di Lucio Dalla si sono sfiorate una volta soltanto, e nemmeno da troppo vicino. Era il 9 settembre del 1997 (giusto un anno dopo l'altro Lucio – ovviamente Battisti, proprio quello che era nato il giorno dopo Dalla – ci avrebbe salutato per sempre) e io, con mia madre e alcuni amici, andai al suo concerto a Festa Reggio: l'arena era al campovolo, il luogo che era stato il tempio delle feste dell'Unità e che una decina di giorni dopo avrebbe ospitato addirittura gli U2 (altro che Vasco o Ligabue, con rispetto parlando).

mercoledì 22 febbraio 2012

Gianmarco Tognazzi: il teatro, la Bassa e mio padre


Gianmarco Tognazzi
Si può nascere e crescere in un luogo con la propria famiglia, per poi scoprire che, anche a centinaia di chilometri di distanza, ci si sente a casa perché un pezzo delle proprie radici affonda lì. È il caso di Gianmarco Tognazzi, andato in scena martedì al teatro Ariston di Mantova con Un nemico del popolo, dramma di fine ‘800 di Henrik Ibsen. 
L'ho intervistato prima dello spettacolo e ha parlato volentieri dello spettacolo, del suo lavoro (soprattutto di Il bene e il male, un bell'episodio della sua carriera anche se non troppo fortunato quanto a programmazione), ma non nasconde il proprio attaccamento alla Bassa mantovana, tanto familiare al padre, in veste di uomo, attore e gastronomo.


sabato 18 febbraio 2012

Tagli e ritagli: la censura in musica (alla radio e in un libro)


In studio a KRock
Ieri ho vissuto un'esperienza davvero stimolante: per la prima volta mi è stata data la possibilità di intervenire all'interno di un programma radiofonico e non da casa, seduto davanti al computer – come già varie volte ho potuto fare collaborando con Francesca Ragno di Radio Libera Tutti, per il suo programma «Cultura e divertimento» – ma davanti a un vero microfono in uno studio di trasmissione. Sono stato infatti ospite del programma di Lorenzo Immovilli a KRock Radio Station, emittente di Scandiano (RE), affrontando il tema della censura nella musica leggera italiana. Ho passato un'ora decisamente piacevole, cercando di raccontare (almeno parzialmente) una pagina che a pieno diritto rientra nella storia contemporanea italiana: il controllo sui testi delle canzoni trasmesse dalla radio e, in qualche caso, persino sui loro interpreti ha caratterizzato il nostro Paese per un lungo periodo, rispecchiandone e talvolta condizionandone i costumi.

Maurizio Targa e il suo libro
Quel fenomeno ha colpito moltissimi artisti e, indirettamente, milioni di ascoltatori. Averne la prova è facile: iniziate a suonare tra amici, per dire, Questo piccolo grande amore di Claudio Baglioni. Il tempo di qualche verso e il coretto si spaccherà, almeno per un attimo: qualcuno canterà «la paura e la voglia di essere nudi», mentre altri proporranno un morigerato «soli». Era il 1972 e il censore mise all’indice una delle canzoni romantiche per eccellenza, considerando troppo ardito il riferimento alla nudità e alle «mani sempre più ansiose di cose proibite».
Episodi come questo si contano a decine e finalmente arriva una pubblicazione che ne raccoglie gran parte: si tratta di L’importante è proibire, edita da Stampa Alternativa e scritta da Maurizio Targa. L’autore è giornalista per varie testate e si occupa da tempo di musica: è il maggior autore di monografie (dalla musica napoletana alle “canzoni migranti”, fino ai legami tra musica leggera e calcio) del sito Hit Parade Italia: la “puntata” sulla censura, costituisce la base da cui è nato il suo libro, che si avvale della prefazione di Michele Bovi, capostruttura di Raiuno che, quando era giornalista al Tg2, ha scelto Targa come consulente per la trasmissione Canzoni proibite.

mercoledì 15 febbraio 2012

Ivano Fossati: lo splendore in un addio


Gli addii non sono fatti per essere felici, anche quando sono lunghi abbastanza per cercare di accontentare tutti: dev'essere per questo che si cerca di renderli speciali, per permettere a chi c’era di averne un ricordo bello. Ivano Fossati da novembre sta facendo questo: gira l'Italia per l'ultima volta, con il tour che segue il suo ultimo album Decadancing. In questa avventura lo seguono musicisti straordinari e alle 35 tappe inizialmente previste via via se ne sono aggiunte altre, permettendo a tanti di essere presenti a questo "lungo addio": per fortuna la tournée è passata anche da Modena, al teatro comunale. Vale davvero la pena ripercorrere insieme una serata intensa, lunga oltre due ore e mezza, in cui le emozioni e la musica si fondono e si fanno ricordare.

lunedì 13 febbraio 2012

Neri Marcorè: il Signor G, Pasolini e il respiro della satira

PIER PAOLO Pasolini e Giorgio Gaber, due figure di valore nell’Italia pensante dell’ultimo mezzo secolo, sono al centro dello spettacolo Eretici e corsari, che Neri Marcorè e Claudio Gioè stanno portando in scena, con il supporto musicale impagabile del GNU Quartet. Ho incontrato Neri a Modena e lui è stato così gentile da concedermi una lunga intervista: abbiamo parlato di Gaber, del pensiero e della satira, in modo serissimo, anche se lui ha scherzato e storpiato la mia voce emiliana fino a un attimo prima di accendere il registratore.

domenica 12 febbraio 2012

Tiggì spazzaneve


L'Italia, a detta di molti, è il paese dei 50 milioni di Commissari tecnici a ogni partita della Nazionale (i 10 milioni che mancano sono neonati oppure odiano anche solo la forma del pallone): non sappiamo resistere alla tentazione di pensare agli inevitabili benefici che apporterebbe alla squadra la nostra nomina ad allenatori e di annunciarli a quante più persone possibili – le quali, di solito, non li vogliono sapere, magari perché troppo impegnate a immaginare i loro, i benefici.
A pensarci bene, nemmeno io ho mai diretto un giornale (salvo quello scolastico, ma suppongo non faccia testo) e men che meno un telegiornale, quindi buon senso vorrebbe che io me ne stessi zitto, per non ingrossare le file già traboccanti di allenatori/direttori/presidenti ipotetici. Eppure, a guardare i telegiornali di questi giorni, la tentazione è troppo forte, come giornalista e come cittadino.
La neve di questi giorni ha creato disagi ed emergenze un po’ dappertutto, quando era troppa o quando era del tutto inattesa – e i cittadini erano impreparati, come a Roma – ma dedicare un quarto d’ora (in pratica mezzo tiggì) alle nevicate non ha davvero senso. Non sono ancora riuscito a capire quale strano ascendente abbia il maltempo sui giornalisti, tanto da far dire al capo di turno «Parliamone tanto, così ci comprano / ci guardano», fatto sta che ci cascano sempre tutti.
Il problema è che gli spazi di giornali e notiziari non si possono allargare più di tanto, per cui più si parla di neve e meno tempo o pagine restano per le altre notizie: parlare dei danni e dei disagi subiti da tanti è sacrosanto, ma due pezzi possono bastare, tre cominciano a essere tanti. A prescindere dalla neve, le cose continuano a succedere: la politica non va in ferie, l’economia neppure e all’estero possono capitare cose più interessanti della lite Alemanno-Gabrielli sull’emergenza neve a Roma. Non parlarne è un peccato e, magari, qualcuno può pure approfittarne per non far sapere qualcosa di scomodo e che invece dovrebbe essere divulgato.
Se domani nevicherà di nuovo (spero di no), sogno un tiggì il cui conduttore, lanciati i primi due servizi, dica: «Bene, ora passiamo alle altre notizie, che sono ancora tante». Poi spero di battere le palpebre e rendermi conto che non stavo sognando.

sabato 11 febbraio 2012

Legenda


La poetessa americana Gertrude Stein aveva le idee chiare: «When you get there, there isn't any there there» (Quando arrivi là, là non c’è nessun “là”). Anch’io probabilmente faccio parte, come direbbe Beppe Severgnini, degli «Italiani con valigia» (se non altro perché ho passato quasi un intero anno a visitare due volte a settimana i discutibili vagoni di Trenitalia, facendo la spola tra Reggio Emilia e Roma), ma mi rendo conto che certe volte la valigia o la valigetta ha poco senso prepararla. Perché il luogo da raggiungere non vale la pena o perché, più semplicemente, per conoscere e imparare di solito non è necessario muoversi più di tanto. Anche se, in fondo, avere qualcosa di diverso da quello che si ha è un’aspirazione che accomuna quasi tutti.
Questo non sarà un luogo per diari di viaggio (e non è solo questione di pigrizia): sarà un’occasione per parlare di ciò con cui mi capita di venire a contatto, per lavoro, per interesse o semplice curiosità. Nessuna gabbia, nessun limite precostituito: gli occhi vanno tenuti aperti, sempre. Siano racconti ascoltati, pagine lette, ricordi riemersi o fatti incontrati, possono meritare tutti di essere condivisi. Per qualcuno saranno diamanti, per qualcun altro carbone; in ogni caso, sapranno più di cuore che di testa. Carta e bussola alla mano, è tempo di guardarsi intorno: buona lettura.

Gabriele Maestri