Salomone, uomo di saggezza.
Valeva certamente per il Re degli Ebrei, che alla ricchezza e alla fama preferì
il dono del discernimento, venendo beneficato da Dio per il coraggio della sua
scelta. Uomo di saggezza era certamente anche Shlomo Venezia: il nome del
grande Re, per cognome la città di una delle maggiori comunità ebraiche della
storia, aveva saputo mostrare la sua “sapienza del cuore” molte volte, dopo
anni di doloroso silenzio.
Non era un uomo comune, Shlomo:
non può esserlo chi ha visto con i propri occhi l’inferno creato da altri
uomini, apparentemente in tutto simili a lui. Meno che mai può sentirsi “uomo
comune” chi è stato costretto, suo malgrado, a collaborare a quell’inferno. Shlomo
era tra i pochi ad aver raccontato, con precisione tanto assoluta quanto
dolorosa, l’esperienza dei Sonderkommando,
le squadre speciali di deportati, in gran parte di origine ebraica, obbligati a
collaborare coi nazisti all’interno di Auschwitz-Birkenau, come pure in altri
campi di sterminio. Per lungo tempo le parole non erano riuscite a uscire, dagli
occhi, dal cuore e dalle labbra di Shlomo: troppo grande l’atrocità per essere
narrata e, soprattutto, creduta.