Per qualcuno il 30 marzo potrebbe
essere una data importante, di quelle da segnare sul calendario, rigorosamente
con un pennarello azzurro: per quel giorno, infatti, sembra previsto il
risveglio (o, se si preferisce, la rianimazione) della Democrazia cristiana. Non
è fantascienza, né si tratta di cronaca dal passato: a spulciare bene la Gazzetta Ufficiale, parte II del 13 marzo,
tra le convocazioni d'assemblea si ritrova un annuncio intitolato «Democrazia
cristiana - Convocazione Consiglio nazionale Dc». "Quella" Dc, almeno
secondo l'intenzione dei promotori.
A firmare la convocazione (anzi,
l’autoconvocazione, ai sensi del vecchio statuto) è il quasi 85enne Clelio
Darida, già sindaco di Roma e più volte ministro: l'ordine del giorno prevede
sei punti, a partire dalla riapertura del tesseramento e dal ripristino degli
organi nazionali del partito, fino a convocazione del congresso nazionale e
alla «approvazione di un documento politico che tracci il percorso
dell'illegittima liquidazione della democrazia cristiana e definiti i nuovi
parametri politici di insegnamento dei valori e della cultura democristiana
della società di oggi». Nientemeno…
E sì che, in questi anni, la
politica si è divisa tra chi pensa che la Democrazia cristiana sia morta all'inizio
del ’94 (quando ha scelto di chiamarsi Partito popolare italiano ed è iniziata
la diaspora politica dei cattolici) e chi invece ritiene che la vecchia Balena
bianca sia ancora viva e vegeta, se non altro perché molti dei suoi vecchi
militanti sono tuttora sparsi nei partiti più diversi, a destra come a
sinistra.
Qualcun altro non si è accorto
della mancanza della Dc semplicemente perché il suo simbolo storico, lo scudo crociato
con la scritta «Libertas», non se n’è mai davvero andato da schede elettorali,
manifesti e teleschermi: fa tutto la bella mostra sul contrassegno composito
dell'Udc casiniana, dopo essere stato presente sui simboli di CCD (appena
accennato sulla vela gonfia), PPI, Cdu (conquistato a fatica nel 1995, dopo una
lotta fratricida di settimane, chiusa d'imperio dai popolari europei con il
famoso patto di Cannes). Quasi non si contano, poi, i contrassegni di
formazioni politiche (vere o create a soli fini elettorali) in cui lo scudo - che
la tradizione vuole disegnato da Giuseppe Alessi, democristiano della prima ora
– viene riprodotto, citato, imitato, se non addirittura maltrattato
graficamente: ora ci sono le «Democrazie cristiane» di Giuseppe Pizza e Angelo
Sandri (che, a sentire loro, sono lo stesso, glorioso partito, ma ciascuna
delle due si ritiene l'unica vera continuatrice), ma prima di loro c'erano
stati Flaminio Piccoli (che nel ’97 aveva fondato di nuovo la Dc), il
gallaratese Carlo Senaldi e il parmigiano Alessandro Duce (che, in qualità di
ultimo segretario amministrativo Dc e primo tesoriere del Ppi, tra il 2001 e il
2002 aveva provato a riattivare la macchina del partito per via giudiziaria); poi
è venuto anche Publio Fiori, con la sua «Rifondazione democristiana» e prima di
lui Gianfranco Rotondi, che lo scudo non l’ha mai voluto, ma il vecchio nome l’ha
usato, eccome. Nel mezzo, una selva di carte bollate, ricorsi, diffide, rischi
di rinvii delle elezioni, ordinanze e qualche sentenza.
Alla fine di dicembre del 2010, in effetti, erano
intervenute le sezioni unite della Corte di cassazione per cercare di mettere
la parola «Fine» a una parte della storia. Confermando una sentenza della Corte
d'appello di Roma dell'anno precedente, diceva in sostanza che nessuno aveva
mai sciolto la Dc, ma le era stato cambiato nome in modo irregolare. Parte da
qui, in sostanza, l'iniziativa di Darida (che, negli anni, ha aderito a vari
tentativi di aggregazione democristiana): ripartire dal 29 gennaio 1994, data
dell'ultimo consiglio nazionale Dc (quello del definitivo cambiamento di nome)
e riattivare il percorso che porta al congresso, perché si decida una volta per
tutte cosa fare della storia democristiana.
Era stata la stessa Cassazione,
tuttavia, a dire che l’accertamento di nullità del cambio di nome non può
essere opposto al Ppi, perché non ha partecipato al processo. In sostanza, la
Dc esiste ancora, ma è la stessa associazione che poi (sia pure in modo
irregolare) si è chiamata Partito popolare italiano e oggi è stata trasformata
in un'associazione politica, dopo che il partito ha sospeso la propria attività
con la fondazione della Margherita. Difficile dire dunque quale spazio possa
avere l'iniziativa di Darida, né si può sapere quante persone effettivamente si
presenteranno in 30 marzo, in seconda convocazione, alla riunione del consiglio
nazionale, anche perché tra gli autoconvocati figurerebbero pure “campioni di
scudo crociato” come Sbardella, Evangelisti, Malfatti, Piccoli (di nuovo lui), Fanfani,
Martinazzoli, Cossiga e Scalfaro che difficilmente verranno, a meno di pensare a
un’improbabile seduta spiritica. Ricorsi e giudici permettendo, chi parteciperà
quel giorno potrà decidere di portare indietro l'orologio della storia di 18
anni e rimettere in moto la macchina democristiana. Magari anche solo per
condurla a una dignitosa (e questa volta definitiva) conclusione politica,
concedendo allo scudo crociato un meritato riposo. Forse, in quel caso, non
moriremo democristiani.
Per un’analisi giuridica sulle dispute dello scudo crociato, si può consultare questa monografia.
Tratto dalla pagina Facebook di INSIEME per il Pd
Sui social network trovi nutriti gruppi "Antifascisti" o "Anticomunisti" (e come si scannano!) e capisci come gli italiani siano legati a questi fantasmi del passato: la dc è uno di quelli. Italia dal futuro circolare...
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