Lucio Dalla a Sanremo |
La mia strada e quella di Lucio Dalla
si sono sfiorate una volta soltanto, e nemmeno da troppo vicino. Era il 9
settembre del 1997 (giusto un anno dopo l'altro Lucio – ovviamente Battisti, proprio
quello che era nato il giorno dopo Dalla – ci avrebbe salutato per sempre) e io,
con mia madre e alcuni amici, andai al suo concerto a Festa Reggio: l'arena era
al campovolo, il luogo che era stato il tempio delle feste dell'Unità e che una
decina di giorni dopo avrebbe ospitato addirittura gli U2 (altro che Vasco o
Ligabue, con rispetto parlando).
Giusto un anno prima Lucio aveva
pubblicato un bel disco, intitolato
semplicemente Canzoni (per capirci,
quello di Tu non mi basti mai, Ayrton e di Canzone, scritta con Samuele Bersani) e la speranza di sentire
qualcosa di bello c'era tutta, anche per un ragazzo che allora aveva 14 anni.
La serata, a dire il vero, non fu memorabile: troppo spazio alle percussioni del
pur bravo Giovanni Imparato (che dominavano persino in un brano come Piazza Grande), meno di 20 canzoni in
scaletta, con qualcuna di troppo (Ballando
ballando e Domani) e qualche assenza
che si faceva sentire (La sera dei
miracoli, L'ultima luna, Stella di mare). Quella sera Dalla arrivò
in bicicletta sul palco, ma non ebbe molti altri guizzi e fu un vero peccato.
Ammetto di essere stato un fan
piuttosto anomalo di Lucio. Ho amato la sua opera decisamente a tratti,
adorando in maniera assoluta almeno tre dischi (Storie di casa mia, Lucio
Dalla e, appunto, Canzoni) e
ignorando quasi l'esistenza di tanti altri, se non per qualche brano
particolarmente noto. Quei tre, a dire il vero, mi bastavano: 4/3/1943, Cosa sarà, La casa in riva al
mare, Milano, Tu non mi basti mai, Il
gigante e la bambina, L’anno che verrà,
Prendimi così, Anna e Marco, Ayrton e
soprattutto Itaca (finita persino
nella mia mappa concettuale della maturità) entrano a pieno diritto nella lista
dei brani cui non rinuncerei. Non per questo non ho amato altre canzoni,
dall'umanità di Se io fossi un angelo
alla storia di cruda bellezza di Futura,
fino alla commozione facile (ma non scontata) di Caruso.
Eppure, se c'è qualcosa di cui
sono stranamente grato a Lucio Dalla, è il modo in cui lui, uomo nato di terra,
ha saputo descrivere il mare. Davvero indimenticabile il mare di Lucio. Quello
profondo, che altri stanno uccidendo. Quello che vedeva dalle Tremiti con la
Pallottino quando scrisse Gesù bambino. Quello del detenuto che aveva occhi soprattutto per
la "sua" Maria. Quello che continuava il suo colore negli occhi della ragazza che prendeva lezioni
dal Tenore. Ma anche quello del Capitano spregiudicato e dei suoi marinai e
rematori che, in fondo, sarebbero pronti a ripartire «se ci fosse ancora mondo».
Quello che si vede anche da Napoli, in quel brano che aveva scritto per i New
Trolls e quasi nessuno si ricorda... Quel mare che oggi, sicuramente, starà
piangendo di nascosto, mescolando le lacrime alle sue gocce.
"Commossa dalle tue parole. Io, bolognese, ho un ricordo di Dalla che va oltre l'ascolto dei suoi brani. Eppure ogni persona nata all'ombra delle due torri può affermare quanto ogni sua melodia abbia coinciso con la colonna sonora di ogni vita di questa città. Lui era "nostro" più che degli altri italiani ma di tutti gli italiani in quanto bolognese. Questo perchè, emiliano generoso, ha saputo lasciare un pezzetto di sè ovunque. Sono cresciuta incontrandolo spesso nel centro di Bologna e forse per questo non mi sono mai persa... "
RispondiEliminaFrancesca
Bravo Gabri, mi è piaciuto molto questo tuo personale saluto al buon Lucio!
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