C’è da sperare che l’Italia sia
qualcosa di più che un paese «con la crema da barba alla menta / con un vestito
gessato sul blu / e la moviola la domenica in tv». Eppure Toto Cutugno, in quei
versi vecchi quasi di trent’anni, ha colto un punto fondamentale dell’Italiano: oggi come allora,
difficilmente rinuncia a guardare il calcio in televisione. A fare la storia
delle immagini sportive emesse dai teleschermi (prima in bianco e nero, poi –
sia pure con ritardo rispetto ad altri paesi – a colori) si finisce per
raccontare anche la storia di chi si è avvicendato davanti ai televisori, nei
bar come nelle case.
Lo aveva capito bene Pino Frisoli, uno dei massimi esperti di storia della Tv (non solo sportiva) e documentatore a Rai Sport, che nel 2007 aveva scritto il primo libro ragionato in materia, La Tv per sport (pubblicato da Tracce): già
allora per l'autore quella dello sport in televisione era «una storia che
meritava di essere raccontata», fatta di grandi eventi con adunate di pubblico
ma anche di gare che oggi fanno notizia proprio perché sui
teleschermi non riuscirono ad arrivare (oppure perché non potevano andare in diretta). A distanza di quattro anni, il
libro di Pino è nuovamente disponibile per gli appassionati, ma in una veste
decisamente rinnovata. Il nuovo titolo è Sport
in Tv, l'editore è la ben più blasonata Rai Eri, ma soprattutto accanto al
nome di Frisoli è apparso quello di Massimo De Luca: lui, all'interno del libro, si è riservato il racconto di alcune
delle tante vicende narrate in quelle pagine, svolto con l'autorevolezza di chi
ne è stato testimone e il gusto raffinato per i particolari e i retroscena.
Un
compito per il quale De Luca aveva ogni carta in regola: entrato in Rai al Gr1 nel
1976 su invito di Sergio Zavoli, all'uscita del libro era conduttore della Domenica Sportiva (la trasmissione più
longeva della tv italiana) e aveva smesso da poco i panni del direttore di Rai Sport,
ma soprattutto era stato per un lustro al timone di uno
dei programmi più amati della radio,
Tutto il calcio minuto per minuto (prendendo il posto, nel 1987, della voce
autorevole di Roberto Bortoluzzi e innovandone la conduzione, ad esempio inserendo i televisori in studio per seguire le partite) e ha giocato
per quasi 15 anni la sua partita televisiva sulla sponda Fininvest, potendo
raccontare in prima persona alcune delle puntate più recenti della storia.
Massimo De Luca e Pino Frisoli |
Ogni episodio di Sport in tv mette in luce vari personaggi: a conquistare
un ruolo da protagonisti, sono tanto gli atleti inquadrati dalle telecamere, quanto chi ha prestato la voce e il corpo al racconto delle immagini; il libro però cerca di far emergere
anche l'importanza di coloro che, da dirigenti di una società sportiva o delle
emittenti radiotelevisive (ma anche da ministri, a volte) erano meno noti al
pubblico, ma potevano decidere cosa sarebbe andato in onda e in quale forma. Il volume è ricchissimo di episodi
soprattutto relativi ai primi anni, quasi sconosciuti anche ai grandi esperti
di televisione: la prima partita di calcio teletrasmessa (era Juventus-Milan,
quella del calcione di Parola a Nordhal e finita 7-1 per i rossoneri), infatti,
è datata 5 febbraio 1950, quasi quattro anni prima del fatidico 3 gennaio 1954,
considerato per convenzione come l’inizio del «regolare servizio di
trasmissioni televisive»; i primi programmi sperimentali della Eiar, tuttavia,
risalgono addirittura al 1939 e già allora in una trasmissione fu ospite
un'intera squadra di calcio, quel Bologna «che tremare il mondo fa».
Spostata
giustamente all'indietro la data di nascita dello sport in tv, il volume dà
conto dell'irresistibile ascesa del calcio delle passioni televisive degli
italiani, senza dimenticare la visibilità di cui altri sport (dal pugilato al
ciclismo, fino allo sci e alle discipline olimpiche) hanno goduto nel tempo, sia pure a corrente alternata;
emerge soprattutto com'è cambiato il rapporto tra mondo dello sport e
televisione, anche in considerazione di come si è evoluto il panorama
televisivo. Per lungo tempo, infatti, le
telecamere sono state più un fastidio che un ospite gradito per le società calcistiche, le quali temevano che la trasmissione delle partite svuotasse gli
spalti: per lungo tempo, così, non c'è stata la possibilità di vedere in
diretta gli incontri (specie nella zona in cui si giocava), né di vederli per
intero (persino Tutto il calcio
doveva accontentarsi dei soli secondi tempi); nel 1976 sembra di essere ancora
in un altro mondo, con la partita Italia-Inghilterra che si dovette giocare nel
primo pomeriggio per evitare una collocazione serale, ma la si poté vedere solo
in differita perché gli italiani non disertassero in massa il posto di lavoro.
Con
l'avvento delle televisioni private cambiò davvero tutto: il libro racconta
bene prima l’esplosione dello sport nelle tv estere e locali “liberate” dalla
Consulta, poi la nascita dei network (a
partire da quelli di Berlusconi) che ampliano a dismisura l’offerta sportiva,
con le federazioni e le squadre che fiutano l’affare. I diritti di
trasmissione, nati quasi come un indennizzo, per risarcire le squadre della
mancata affluenza di pubblico ai vari incontri, si sono trasformati in una voce
di bilancio sempre più imprescindibile per le varie società (le cifre sono
ulteriormente aumentate con i progressi tecnologici, con l’introduzione della pay-tv e della pay-per-view). Le “sfide” maggiori, naturalmente, hanno riguardato
per anni Rai e Mediaset, che non solo si sono contese i diritti delle
principali manifestazioni sportive (i racconti in prima persona di De Luca
sulle vicende del Giro d’Italia e del campionato di calcio strappati alla Rai
sono carichi di ricordi e molto coinvolgenti), ma hanno anche fatto a gara nel proporre
modi alternativi di raccontare lo sport (in principio fu la Gialappa’s Band,
poi venne Quelli che… il calcio).
Nicolò Carosio |
La parte del libro che forse
colpisce maggiormente, tuttavia, è la meritoria riabilitazione totale di Nicolò
Carosio, il pioniere dei cronisti sportivi prima alla radio e poi in
televisione. Per anni si è attribuita a Carosio un’unica caduta di stile, per
avere apostrofato in modo offensivo il guardalinee etiope della partita Italia-Israele
ai quarti di finale dei mondiali del 1970: ci è voluta la cura certosina di De
Luca e Frisoli per ritrovare la registrazione del match nelle Teche Rai e visionarla per intero, prestando attenzione
più alle parole del telecronista che al gioco in campo. Risultato: mai Carosio
ha insultato il “segnalinee”, dandogli del «negro» o, peggio, del «negraccio»; la
leggenda metropolitana dell’insulto e le proteste (verissime) dell’ambasciata di
Etiopia sarebbero forse state originate (secondo la ricostruzione di De Luca) da
un commento radiofonico “politicamente scorretto”, come risulterebbe da altre
fonti. Un po’ come avvenne – sia consentito il paragone – con la nota gaffe “ornitologica” di Mike verso la “signora
Longari”: anche allora la frase incriminata non fu detta, ma ci volle la “prova tv” (grazie, ancora una volta, allo spirito da cacciatore di Pino Frisoli) per smentire chi giurava di averla
sentita con le sue orecchie.
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