In studio a KRock |
Ieri ho vissuto un'esperienza
davvero stimolante: per la prima volta mi è stata data la possibilità di
intervenire all'interno di un programma radiofonico e non da casa, seduto
davanti al computer – come già varie volte ho potuto fare collaborando con Francesca Ragno di Radio Libera Tutti, per il suo
programma «Cultura e divertimento» – ma davanti a un vero microfono in uno
studio di trasmissione. Sono stato infatti ospite del programma di Lorenzo Immovilli a KRock Radio Station, emittente di Scandiano
(RE), affrontando il tema della censura nella musica leggera italiana. Ho
passato un'ora decisamente piacevole, cercando di raccontare (almeno
parzialmente) una pagina che a pieno diritto rientra nella storia contemporanea
italiana: il controllo sui testi delle canzoni trasmesse dalla radio e, in
qualche caso, persino sui loro interpreti ha caratterizzato il nostro Paese per
un lungo periodo, rispecchiandone e talvolta condizionandone i costumi.
Maurizio Targa e il suo libro |
Quel fenomeno ha colpito
moltissimi artisti e, indirettamente, milioni di ascoltatori. Averne la prova è
facile: iniziate a suonare tra amici, per dire, Questo piccolo grande amore di Claudio Baglioni. Il tempo di
qualche verso e il coretto si spaccherà, almeno per un attimo: qualcuno canterà
«la paura e la voglia di essere nudi», mentre altri proporranno un morigerato
«soli». Era il 1972 e il censore mise all’indice una delle canzoni romantiche
per eccellenza, considerando troppo ardito il riferimento alla nudità e alle
«mani sempre più ansiose di cose proibite».
Episodi come questo si contano a
decine e finalmente arriva una pubblicazione che ne raccoglie gran parte: si
tratta di L’importante è proibire,
edita da Stampa Alternativa e scritta da Maurizio
Targa. L’autore è giornalista per varie testate e si occupa da tempo di
musica: è il maggior autore di monografie (dalla musica napoletana alle
“canzoni migranti”, fino ai legami tra musica leggera e calcio) del sito Hit Parade Italia: la “puntata” sulla
censura, costituisce la base da cui è nato il suo libro, che si avvale della
prefazione di Michele Bovi,
capostruttura di Raiuno che, quando era giornalista al Tg2, ha scelto Targa come
consulente per la trasmissione Canzoni
proibite.
Sul “libro dei cattivi” si poteva
finire per varie ragioni. Un riferimento sessuale era un ottimo visto per la
Commissione d’ascolto di mamma Rai, e non occorreva essere espliciti come Jane
Birkin (i suoi gemiti hanno trasformato Je
t’aime… moi non plus di Serge Gainsbourg nel brano più censurato al mondo)
o Cristiano Malgioglio (il titolo del libro si rifà alla sua L’importante è venire: il censore fece
cambiare il verbo con finire, ma a
restituire carica erotica al brano pensò la voce di Mina). Bastava cantare
versi che parlavano di «letto» (Bella
senz’anima di Cocciante o Sei
bellissima di Loredana Berté), «giochetti da impazzire» (Niente da capire di De Gregori), «un’ora
d’amore» (Per fare un uomo dei
Nomadi) o interpretare un pezzo in modo troppo provocante (chiedere a Jula de
Palma). Ma guai anche a parlare di amori non matrimoniali (vedi Albergo a ore di Herbert Pagani) o ad
avere atteggiamenti equivoci: lo sapeva bene Umberto Bindi, espulso per anni da
radio e tv per la sua omosessualità.
Non andava meglio a chi era disinvolto
con la politica e la religione, almeno agli occhi del censore: disco rosso quindi
per Notte di Natale di Baglioni
(«Dio, tu stai nascendo e muoio io»), Sono
un simpatico di Celentano (amputata dell’introduzione in cui il Molleggiato
sembrava bestemmiare) e, prima ancora, per La
novia di Tony Dallara. Non si poteva parlare di suicidi, aborti (chiedere a
Nannini ed Elio e le Storie Tese), droga e nemmeno di mafia: quando ci
provarono i Giganti, con Terra in bocca,
non riuscirono a passare in radio. Veto anche sulle parolacce: o saltava
l’intera canzone (vedi Il mio
palcoscenico della Berté, Adius di
Piero Ciampi o L’avvelenata di
Guccini), o saltava la parola, magari con l’intervento del “bip”.
A scorrere le pagine, a parte i
casi più noti come la “nomade” Dio è
morto o 4/3/1943 di Dalla, si
scoprono alcuni artisti “abbonati” alla censura: Fabrizio De André, Giorgio
Gaber, i Nomadi, ma anche insospettabili come Domenico Modugno o Sergio Endrigo;
si ricordano episodi incredibili, come per i Dik Dik (che non potevano cantare Help me), i Cugini di Campagna (che
davano fastidio per il falsetto di Paulin e per un brano come Preghiera che parlava del suicidio) o
persino Lucio Battisti (Dio mio no
era intrasmettibile e ancora oggi se ne ignora l’esatto motivo). Sanremo, poi,
emerge come ricettacolo di censure (oltre che di plagi) e abbia continuato ad
esserlo pure di recente, anche se bersaglio dei censori di turno non era quasi
più il sesso, dentro e fuori dall’Ariston.
C’è tutto questo nel libro di
Maurizio Targa, assieme ad analisi sulla censura in epoca fascista,
ottocentesca e all’estero. Ascoltatori e curiosi di ogni età possono trovare
spunti di sicuro interesse in questa ricerca fatta con passione (e che fa
perdonare alcune imprecisioni, specie nei testi): il filo rosso della censura
arriva sino a oggi ed è avvincente seguirne il percorso in tutte le sue curve.
Nessun commento:
Posta un commento