Salomone, uomo di saggezza.
Valeva certamente per il Re degli Ebrei, che alla ricchezza e alla fama preferì
il dono del discernimento, venendo beneficato da Dio per il coraggio della sua
scelta. Uomo di saggezza era certamente anche Shlomo Venezia: il nome del
grande Re, per cognome la città di una delle maggiori comunità ebraiche della
storia, aveva saputo mostrare la sua “sapienza del cuore” molte volte, dopo
anni di doloroso silenzio.
Non era un uomo comune, Shlomo:
non può esserlo chi ha visto con i propri occhi l’inferno creato da altri
uomini, apparentemente in tutto simili a lui. Meno che mai può sentirsi “uomo
comune” chi è stato costretto, suo malgrado, a collaborare a quell’inferno. Shlomo
era tra i pochi ad aver raccontato, con precisione tanto assoluta quanto
dolorosa, l’esperienza dei Sonderkommando,
le squadre speciali di deportati, in gran parte di origine ebraica, obbligati a
collaborare coi nazisti all’interno di Auschwitz-Birkenau, come pure in altri
campi di sterminio. Per lungo tempo le parole non erano riuscite a uscire, dagli
occhi, dal cuore e dalle labbra di Shlomo: troppo grande l’atrocità per essere
narrata e, soprattutto, creduta.
Poi la lingua si è sciolta e le
labbra si sono aperte: una sorta di effatà
liberatorio, dal quale è scaturito un racconto che solo la clessidra della vita,
poche ore fa, ha interrotto. Chi scrive ha sentito e letto più volte l’atroce
sequenza delle squadre speciali costrette ad accompagnare, nella terribile
veste di vittime e complici dei carnefici, le vittime destinate alle camere a
gas senza poterle avvertire del loro destino; erano loro a dover togliere i
corpi ormai senza vita dal carnaio, dopo che lo Zyklon B aveva annientato
quelle vite; toccava sempre a loro recuperare i vestiti delle vittime, tagliare
loro i capelli (questo era toccato a Shlomo) e cavare loro i denti d’oro. E
sempre ai Sonderkommando era imposto
di completare l’annientamento, alimentando con i cadaveri le bocche di fuoco
inestinguibili dei forni crematori, cancellando ogni traccia di ciascuna di
quelle vite.
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Shlomo Venezia, al fianco di Piero Terracina e Nedo Fiano (da Suoni dal silenzio) |
Se tutto questo oggi è noto, con
fatti, nomi e ricordi incancellabili, in Italia è merito soprattutto di Shlomo.
E di Roberto Olla. Tanti italiani, compreso il sottoscritto, nel 2003 hanno
potuto vedere quell’elegante signore di una certa età, seduto accanto a un
mobile, mentre raccontava quello che aveva visto – lui lo poteva ben dire – «Con
questi miei occhi». Era questo il titolo dello Speciale Tg1 che Olla aveva dedicato alla Shoah, chiedendosi (e
chiedendoci) come fosse stato possibile che il paese di Kant, Beethoveen e
altri geni del pensiero e dell’arte avesse potuto produrre tanto orrore, che
puntò a ridurre uomini e donne a «non-persone».
Era questa un’espressione tristemente cara (perché la ripeteva spesso) a Ida
Marcheria, che di inverni a Birkenau ne aveva vissuti due e negli ingranaggi di
quella macchina della morte sognava la cioccolata, al punto da aprire più
avanti un laboratorio artigianale eccezionale.
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Ida Marcheria con Luca Velotti (da Suoni dal silenzio) |
Fu lei la protagonista, l’anno
dopo, del documentario di Olla Auschwitz
e la cioccolata, che ricevette anche un Oscar Tv speciale, per la sua
straziante bellezza: con Ida, c’era Shlomo, così come c’era Piero Terracina, l’unico
sopravvissuto della sua famiglia all’inferno di Auschwitz. Loro tre, insieme a Nedo
Fiano, avevano dato voce e memoria a uno dei programmi più intensi sull’orrore
dei campi di sterminio che la Rai, ancora una volta grazie a Roberto Olla,
abbia mai prodotto, Suoni dal silenzio:
Shlomo, Ida, Nedo e Piero collaborarono con il musicista Luca Velotti e cercarono
di riprodurre in studio i suoni, i rumori che scandivano la vita all’interno
delle fabbriche della morte, giorno per giorno sempre più a fondo, quasi senza
poter vedere la luce.
Ora Shlomo non c’è più, come non
c’è più Ida. Al loro posto, ci sono i loro racconti, che non hanno mai fatto
mancare a chiunque abbia voluto porgere orecchi e cuore. Davvero hanno saputo
cogliere il messaggio dello Shema Yisroel,
ripreso non a caso da Primo Levi: «Ripeterai [queste parole] ai tuoi figli, ne
parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti
coricherai e quando ti alzerai». Il nostro grazie, ne sono certo, non sarà mai
grande abbastanza, così come le nostre lacrime per averli dovuti salutare così
presto. Arrivederci Shlomo, Yivorekhekhaw
Adonai v'yishm'rekhaw (Il Signore ti benedica e ti protegga).
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