domenica 15 aprile 2012

Edmondo, quel gran genio del mio Mito


Edmondo Berselli
L’11 aprile di due anni fa si è allontanato per un po’ da questo mondo Edmondo Berselli. Ha lasciato per un lungo momento la sua vita di là, con passo felpato, mettendoci a disposizione un tesoro smisurato, fatto di pensieri, riflessioni, spunti, battute, calembour, letture mai banali su ciò che era accaduto e quello che doveva ancora succedere.
Sono arrivato a stimare Berselli alla follia, pur avendolo ascoltato dal vivo e incontrato per pochi minuti solo due volte. E pensare che il nostro primo contatto di pagina scritta era stato un po’ indigesto… Lessi la prefazione che aveva scritto a Emozioni, un libro di Tullio Lauro e Leo Turrini su Lucio Battisti: mi sembrava talmente “surreale” ed “esagerata” – in tutto, nella ricercatezza della lingua e del ritmo, nella lode sperticata a Panella, nella minimizzazione delle liriche mogoliane – da farmi chiedere da quale pianeta venisse quell’uomo, dal cognome che sembrava denunciare un’origine bassaiola (fece notare lui stesso la radice comune tra Berselli e Brescello).
Fu una sera settembrina a Boretto (era il 2004) a cambiare faccia al dado: attorno al tema Don Peppone: cinquant’anni di cattocomunismo? ritrovai lo storico Alberto Melloni e l’Edmondo di Modena (anche se avrebbe potuto dire tranquillamente «Prego, me a sun ad Campgajàn», per fare il verso a una battuta di Arrigo Levi che lui amava citare»). Quella sera fece capire, a dispetto di ciò che molti potevano pensare, che don Camillo e Peppone non erano mai esistiti, per lo meno con l’immagine corriva e consociativa che spesso si ha: in Emilia “bianchi” e “rossi” conoscevano le loro posizioni di forza (ribaltate rispetto al livello nazionale) e le rispettavano, consultandosi sulle decisioni veramente importanti senza peraltro smettere di legnarsi o punzecchiarsi a vicenda.
Davanti a me stava nascendo il primo capitolo di Quel gran pezzo dell’Emilia e io non lo sapevo ancora. Come non sapevo che avrei adorato quel libro (conservo gelosamente la mia copia, con dedica dell’autore): una miniera di citazioni, letture, immagini di parole, personaggi cui non rinuncerei più. E pazienza se in quelle pagine a Pierangelo Bertoli, Pierluigi Bersani, Lucio Dalla, Roberto Roversi e ad altri personaggi vengono messe in bocca parole più verosimili che vere: il ritratto di quella «terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e Italiani di classe» e che è anche la mia terra è assolutamente splendido, forse il migliore in assoluto.
Da lì ho cominciato a leggere praticamente tutto di Berselli, da Post Italiani in poi, recuperandomi anche quel gioiellino musical-sociologico di Canzoni. Storia dell’Italia leggera: assolutamente impagabile la definizione di Shel Shapiro come «incrocio antropologico fra Corto Maltese e un ebreo cosmopolita, con qualche cromosoma di pirateria di Sua Maestà britannica» (di lui poi approvavo incondizionatamente la passione per il beat e la stima dichiarata per il più archeologo dei giornalisti musicofili, Michele Bovi, stima personale e professionale ampiamente ricambiata). Ho imparato ad apprezzare il suo stile, capace di mescolare letture del tutto sconosciute (non per lui) a frange di cultura pop o anche kitsch, in cui parole ricercate potevano benissimo stare al fianco delle cosiddette parolacce (mai che sembrassero fuori posto); sono riuscito ad amare i suoi libri anche quando la lettura era una sfida ed erano più i pezzi che mi mancavano dei riferimenti che coglievo, oppure quando facevano a pezzi i miei “miti” personali, a partire da Franco Battiato.

 Ecco, anche così Edmondo è riuscito a diventare un mito per me, una sorta di “venerato maestro” di arbasiniana memoria che si faceva leggere, ascoltare e guardare. Sì, perché ho cercato di ricordarmi ogni volta che ho potuto di seguire i programmi tv di cui è stato conduttore e autore, dai viaggi italiani di Giù al Nord e Su al Sud al percorso tutto eridanico di Un Paese chiamato Po, in cui ritrovo pure un briciolo di me (una volta mi chiamò Maurizio Caverzan, della sua “squadra”, per chiedermi di contattare per lui Mario Daolio, uno dei pittori di Po che io conobbi da bambino).
Quei cicli erano splendidi, peccato che siano stati programmati puntualmente in seconda serata o, dopo la prima messa in onda, nelle fasce orarie più disparate, fungendo da “tappabuchi” per i palinsesti. Sarebbe il momento di «bersellizzare la Rai», come ha detto ieri Riccardo Bocca a Modena per ricordare Edmondo, dando finalmente a quei programmi la dignità della prima serata: io mi accontenterei di trovarli in dvd. Sospetto che non li comprerei solo io: sarebbero soldi ottimamente spesi.

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