sabato 31 marzo 2012

40 anni di storia italiana con Pubblicità Progresso


La copertina del libro
Pensi a una pubblicità ben fatta, ma di quelle un po' strane, in cui non c'è un prodotto da propagandare, ma un atteggiamento da valorizzare o un comportamento da evitare perché è cattivo. Pensi a questo e ti vengono in mente subito due parole è un logo: «Pubblicità Progresso», con la sua «P» racchiusa in un ovale, un po’ come quegli adesivi che un tempo si attaccavano alle auto per indicare la nazionalità e passare tranquillamente la frontiera. Da un certo punto di vista è andata proprio così: è stata Pubblicità Progresso a creare in Italia, 41 anni fa, un modo del tutto nuovo di fare promozione, utilizzando gli strumenti della comunicazione a fini sociali e acquisendo nel tempo i tratti di un fenomeno pressoché unico e ben riconoscibile nel mondo della pubblicità.
A raccontare quella storia, decisamente particolare e in gran parte sconosciuta, provvede oggi un libro, edito da Rai Eri, intitolato semplicemente Pubblicità Progresso. La comunicazione sociale in Italia. Si tratta di una narrazione a più voci (compresa quella del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha firmato la prefazione), fatta di ricordi, analisi, dati e diverse immagini, elementi che tutti insieme permettono di costruire l'immagine completa di una presenza fondamentale del mondo della comunicazione, anche se non abbastanza conosciuta dal grande pubblico: a parte gli addetti ai lavori, tuttavia, pochi sanno cosa sia effettivamente quella realtà e come operi.

A fondare nel 1970 il «comitato Pubblicità Progresso» furono la Fieg (la federazione degli editori), l’Upa (che riunisce le più importanti aziende che investono in pubblicità), l’Otipi (in cui erano riunite le agenzie pubblicitarie) e la Sipra (la concessionaria di pubblicità della Rai): tutti questi soggetti scelsero come obiettivo la promozione di campagne sociali di pubblica utilità, per diffondere buone pratiche e valori importanti, in un momento in cui la pubblicità era accusata di essere il primo colpevole del consumismo, dei mali e delle ansie che percorrevano la società (e pensare che allora era ancora il tempo di Carosello, un altro mondo rispetto agli spot di oggi). Erano dunque gli stessi attori del mondo della pubblicità (editori, inserzionisti, creativi) che cercavano di utilizzare gli strumenti loro abituali per fini non commerciali, che permettessero di scoprire una nuova strada per le campagne promozionali e, allo stesso tempo, rendessero l'intera pubblicità più accettabile agli occhi dei consumatori finali e della società.
Con il tempo a Pubblicità Progresso (divenuta un'associazione nel 1976 e una fondazione nel 2005) ha aderito un numero sempre maggiore di realtà e le attività portate avanti da questo soggetto sono state sempre attente ai cambiamenti della società, per cui la scelta delle campagne e delle iniziative da portare avanti era condotta con la massima cura. Il libro cerca di dare conto di tutto questo, con una breve ma esaustiva introduzione di Giovanna Gadotti (sociologa della comunicazione), un'analisi approfondita e non banale sui cambiamenti registrati dalla società italiana e dalla pubblicità negli ultimi quarant'anni (ad opera di Paolo Anselmi e Giuseppe Minoia, rispettivamente vicepresidente e presidente onorario dell’Eurisko) e un contributo di Alberto Contri (attuale presidente di Pubblicità Progresso) incentrato sulla comunicazione sociale e sul suo rapporto con la tecnologia. C'è poi una parte incentrata sulle attività della fondazione Pubblicità Progresso e sulle "parole chiave" della sua azione; una cronologia dà conto anno per anno delle iniziative del soggetto, accanto a un inquadramento più generale di ciò che è accaduto nel "terzo settore" (ossia in tutti quegli enti formalmente privati, ma volti a produrre beni e servizi destinati alla collettività).

Si può tranquillamente dire che Pubblicità Progresso rappresenti ormai il marchio per eccellenza della comunicazione sociale, al punto che ogni iniziativa di tipo comunicativo che abbia qualche attinenza con temi di ambito sociale viene automaticamente associata a quel soggetto, anche quando le pubblicità sono state concepite da altri. Parlo per esperienza: l'ultima parte del volume raccoglie tutte le campagne che Pubblicità Progresso ha realizzato ed ero stupito per non avervi trovato due iniziative televisive difficili da dimenticare, programmate tra la fine degli anni ’80 e l'inizio degli anni ’90. La prima era legata all'AIDS, con il pay-off «Se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide», la linea viola del contagio e il sottofondo nervoso di O Superman di Laurie Anderson; l'altra prendeva di mira le droghe, con i volti di alcuni ragazzi che giravano su sé stessi, svelando gli occhi bianchi e svuotati vuoti (mentre sullo schermo appariva lo slogan «Se ti droghi, ti spegni»). I filmati di allora si vedono anche oggi su YouTube: eppure guardandoli si scopre che non sono nati da Pubblicità Progresso (nel primo caso dal Ministero della Sanità, nel secondo dalla Presidenza del Consiglio).
Sono invece tanti gli spot e le campagne contenute nel libro – consultabili anche nella mediateca della fondazione, nel sito www.pubblicitaprogresso.it e, di nuovo, su YouTube – che hanno lasciato più di un segno in tutti coloro che le hanno viste (da «C'è bisogno di sangue. Ora lo sai.» a «Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere.», fino a «No al razzismo. Sì alla tolleranza.» e al più recente «E allora?», contro i pregiudizi verso i disabili, con la partecipazione di Lucio Dalla). Sfogliando il volume, in sostanza, si ripercorrono quarant'anni di storia italiana con gli occhi di chi ha visto i problemi della società e ha cercato di denunciarli a modo suo, usando gli strumenti del proprio mestiere: un punto di osservazione decisamente singolare.

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