venerdì 16 marzo 2012

30 marzo, ore 11: ritorna la Dc?


Per qualcuno il 30 marzo potrebbe essere una data importante, di quelle da segnare sul calendario, rigorosamente con un pennarello azzurro: per quel giorno, infatti, sembra previsto il risveglio (o, se si preferisce, la rianimazione) della Democrazia cristiana. Non è fantascienza, né si tratta di cronaca dal passato: a spulciare bene la Gazzetta Ufficiale, parte II del 13 marzo, tra le convocazioni d'assemblea si ritrova un annuncio intitolato «Democrazia cristiana - Convocazione Consiglio nazionale Dc». "Quella" Dc, almeno secondo l'intenzione dei promotori.
A firmare la convocazione (anzi, l’autoconvocazione, ai sensi del vecchio statuto) è il quasi 85enne Clelio Darida, già sindaco di Roma e più volte ministro: l'ordine del giorno prevede sei punti, a partire dalla riapertura del tesseramento e dal ripristino degli organi nazionali del partito, fino a convocazione del congresso nazionale e alla «approvazione di un documento politico che tracci il percorso dell'illegittima liquidazione della democrazia cristiana e definiti i nuovi parametri politici di insegnamento dei valori e della cultura democristiana della società di oggi». Nientemeno…
E sì che, in questi anni, la politica si è divisa tra chi pensa che la Democrazia cristiana sia morta all'inizio del ’94 (quando ha scelto di chiamarsi Partito popolare italiano ed è iniziata la diaspora politica dei cattolici) e chi invece ritiene che la vecchia Balena bianca sia ancora viva e vegeta, se non altro perché molti dei suoi vecchi militanti sono tuttora sparsi nei partiti più diversi, a destra come a sinistra.
Qualcun altro non si è accorto della mancanza della Dc semplicemente perché il suo simbolo storico, lo scudo crociato con la scritta «Libertas», non se n’è mai davvero andato da schede elettorali, manifesti e teleschermi: fa tutto la bella mostra sul contrassegno composito dell'Udc casiniana, dopo essere stato presente sui simboli di CCD (appena accennato sulla vela gonfia), PPI, Cdu (conquistato a fatica nel 1995, dopo una lotta fratricida di settimane, chiusa d'imperio dai popolari europei con il famoso patto di Cannes). Quasi non si contano, poi, i contrassegni di formazioni politiche (vere o create a soli fini elettorali) in cui lo scudo - che la tradizione vuole disegnato da Giuseppe Alessi, democristiano della prima ora – viene riprodotto, citato, imitato, se non addirittura maltrattato graficamente: ora ci sono le «Democrazie cristiane» di Giuseppe Pizza e Angelo Sandri (che, a sentire loro, sono lo stesso, glorioso partito, ma ciascuna delle due si ritiene l'unica vera continuatrice), ma prima di loro c'erano stati Flaminio Piccoli (che nel ’97 aveva fondato di nuovo la Dc), il gallaratese Carlo Senaldi e il parmigiano Alessandro Duce (che, in qualità di ultimo segretario amministrativo Dc e primo tesoriere del Ppi, tra il 2001 e il 2002 aveva provato a riattivare la macchina del partito per via giudiziaria); poi è venuto anche Publio Fiori, con la sua «Rifondazione democristiana» e prima di lui Gianfranco Rotondi, che lo scudo non l’ha mai voluto, ma il vecchio nome l’ha usato, eccome. Nel mezzo, una selva di carte bollate, ricorsi, diffide, rischi di rinvii delle elezioni, ordinanze e qualche sentenza.

Alla fine di dicembre del 2010, in effetti, erano intervenute le sezioni unite della Corte di cassazione per cercare di mettere la parola «Fine» a una parte della storia. Confermando una sentenza della Corte d'appello di Roma dell'anno precedente, diceva in sostanza che nessuno aveva mai sciolto la Dc, ma le era stato cambiato nome in modo irregolare. Parte da qui, in sostanza, l'iniziativa di Darida (che, negli anni, ha aderito a vari tentativi di aggregazione democristiana): ripartire dal 29 gennaio 1994, data dell'ultimo consiglio nazionale Dc (quello del definitivo cambiamento di nome) e riattivare il percorso che porta al congresso, perché si decida una volta per tutte cosa fare della storia democristiana.
Era stata la stessa Cassazione, tuttavia, a dire che l’accertamento di nullità del cambio di nome non può essere opposto al Ppi, perché non ha partecipato al processo. In sostanza, la Dc esiste ancora, ma è la stessa associazione che poi (sia pure in modo irregolare) si è chiamata Partito popolare italiano e oggi è stata trasformata in un'associazione politica, dopo che il partito ha sospeso la propria attività con la fondazione della Margherita. Difficile dire dunque quale spazio possa avere l'iniziativa di Darida, né si può sapere quante persone effettivamente si presenteranno in 30 marzo, in seconda convocazione, alla riunione del consiglio nazionale, anche perché tra gli autoconvocati figurerebbero pure “campioni di scudo crociato” come Sbardella, Evangelisti, Malfatti, Piccoli (di nuovo lui), Fanfani, Martinazzoli, Cossiga e Scalfaro che difficilmente verranno, a meno di pensare a un’improbabile seduta spiritica. Ricorsi e giudici permettendo, chi parteciperà quel giorno potrà decidere di portare indietro l'orologio della storia di 18 anni e rimettere in moto la macchina democristiana. Magari anche solo per condurla a una dignitosa (e questa volta definitiva) conclusione politica, concedendo allo scudo crociato un meritato riposo. Forse, in quel caso, non moriremo democristiani.

Per un’analisi giuridica sulle dispute dello scudo crociato, si può consultare questa monografia.

Tratto dalla pagina Facebook di INSIEME per il Pd

1 commento:

  1. Sui social network trovi nutriti gruppi "Antifascisti" o "Anticomunisti" (e come si scannano!) e capisci come gli italiani siano legati a questi fantasmi del passato: la dc è uno di quelli. Italia dal futuro circolare...

    RispondiElimina