mercoledì 14 marzo 2012

La benzina che corre


A molte, troppe cose, in Italia facciamo l'abitudine in fretta. Anche quando, per il nostro bene, non dovremmo abituarci mai. Non ci stupisce più sentire di incidenti sulla Salerno - Reggio Calabria, di code tra Roncobilaccio e Barberino di Mugello, di persone cui in estate saltano le cervella e che decidono di sterminare mezza famiglia con un'arma spuntata da chissà dove; non ci sorprendiamo a trovare sempre nelle pagine politiche un articolo intitolato «Il retroscena», a sapere che Vespa ha scritto un altro libro o che hanno arrestato un uomo politico – il colore non importa – perché è accusato di essersi intascato soldi che non avrebbe dovuto ricevere.
Non c'è da meravigliarsi, allora, se ci stiamo ormai abituando anche alla «corsa dei prezzi dei carburanti» (i giornalisti la chiamano proprio così, quasi tutti, con poche eccezioni). Sembra ormai una clausola di stile, quasi una certezza nei titoli dei telegiornali come nelle chiacchiere da bar: chi ha buona memoria si fa venire in mente l'impennata dei prezzi di petrolio e derivati dopo la guerra del Kippur, a partire dal 1973 (fu così che gli italiani finirono per abituarsi alla parola austerity); i cultori della cultura nazionalpopolare hanno buon gioco a ricordare Celentano e il pragmatico incipit di Svalutation (scritta assieme a Gino Santercole, Luciano Beretta e l’immortale “azzurro” Vito Pallavicini), per cui nel ’76  «la benzina ogni giorno costa sempre di più / e la lira cade e precipita giù».
Sembra quasi un fenomeno di costume, se non fosse che pesa come un macigno sui nostri portafogli (sempre più vuoti, e non solo perché è più difficile pagare in contanti) e ti fa pensare due o anche tre volte, prima di andare in un posto tanto bello, ma non esattamente dietro casa. Rischiamo di fare tanto l'abitudine a quel grafico di prezzo puntato inesorabilmente verso l'alto e sempre sul punto di infrangere ogni record, da non ricordarci più perché da noi il prelievo alla pompa, rispetto ad altri paesi, somiglia davvero a un salasso: eppure basta digitare su Google la stringa «composizione del prezzo della benzina» per recuperare tutte le puntate precedenti
Ecco allora che la solerzia della Rete ci ricorda come sul prezzo finale dei carburanti pesino, tra l'altro, le accise introdotte in occasione della guerra in Abissinia nel 1935, della crisi di Suez nel 1956, di disastri acquatici del Vajont e di Firenze, dei terremoti in Val Belice, in Friuli e in Irpinia, fino agli aumenti più recenti, introdotti con il decreto "salva Italia". Questi ultimi probabilmente sono stati i più dolorosi, perché incidevano su un prezzo dei carburanti già troppo alto, ma a pensarci bene sono stati tra i più onesti, perché lo scopo del ritocco era stato dichiarato fin dall'inizio: ci servono dei soldi, da qualche parte dobbiamo prenderli e macchine, camion e autobus dovranno pur circolare. Tutti gli aumenti precedenti, invece, erano stati giustificati come misure necessarie per far fronte a emergenze reali di vario tipo, per loro natura temporanee: il tempo è trascorso, molte emergenze sono terminate (anche se, per dirne una, in Irpinia le cose non sono mai tornate a posto per davvero), ma le accise sono ancora lì e contribuiscono enormemente a tenere alti i prezzi. 
Verrebbe la tentazione di chiedersi se è stato più ipocrita chi ha governato allora (sapendo benissimo che quelle imposte non sarebbero mai state tolte) o se è più colpevole chi governa oggi (preferendo intervenire sulla rete di distribuzione piuttosto che eliminare qualcuna delle accise più risalenti, cui non intende rinunciare): già, verrebbe la tentazione, ma intanto il serbatoio si è vuotato e occorre riempirlo di nuovo. Tanto per cambiare.

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