sabato 18 febbraio 2012

Tagli e ritagli: la censura in musica (alla radio e in un libro)


In studio a KRock
Ieri ho vissuto un'esperienza davvero stimolante: per la prima volta mi è stata data la possibilità di intervenire all'interno di un programma radiofonico e non da casa, seduto davanti al computer – come già varie volte ho potuto fare collaborando con Francesca Ragno di Radio Libera Tutti, per il suo programma «Cultura e divertimento» – ma davanti a un vero microfono in uno studio di trasmissione. Sono stato infatti ospite del programma di Lorenzo Immovilli a KRock Radio Station, emittente di Scandiano (RE), affrontando il tema della censura nella musica leggera italiana. Ho passato un'ora decisamente piacevole, cercando di raccontare (almeno parzialmente) una pagina che a pieno diritto rientra nella storia contemporanea italiana: il controllo sui testi delle canzoni trasmesse dalla radio e, in qualche caso, persino sui loro interpreti ha caratterizzato il nostro Paese per un lungo periodo, rispecchiandone e talvolta condizionandone i costumi.

Maurizio Targa e il suo libro
Quel fenomeno ha colpito moltissimi artisti e, indirettamente, milioni di ascoltatori. Averne la prova è facile: iniziate a suonare tra amici, per dire, Questo piccolo grande amore di Claudio Baglioni. Il tempo di qualche verso e il coretto si spaccherà, almeno per un attimo: qualcuno canterà «la paura e la voglia di essere nudi», mentre altri proporranno un morigerato «soli». Era il 1972 e il censore mise all’indice una delle canzoni romantiche per eccellenza, considerando troppo ardito il riferimento alla nudità e alle «mani sempre più ansiose di cose proibite».
Episodi come questo si contano a decine e finalmente arriva una pubblicazione che ne raccoglie gran parte: si tratta di L’importante è proibire, edita da Stampa Alternativa e scritta da Maurizio Targa. L’autore è giornalista per varie testate e si occupa da tempo di musica: è il maggior autore di monografie (dalla musica napoletana alle “canzoni migranti”, fino ai legami tra musica leggera e calcio) del sito Hit Parade Italia: la “puntata” sulla censura, costituisce la base da cui è nato il suo libro, che si avvale della prefazione di Michele Bovi, capostruttura di Raiuno che, quando era giornalista al Tg2, ha scelto Targa come consulente per la trasmissione Canzoni proibite.

 
Sul “libro dei cattivi” si poteva finire per varie ragioni. Un riferimento sessuale era un ottimo visto per la Commissione d’ascolto di mamma Rai, e non occorreva essere espliciti come Jane Birkin (i suoi gemiti hanno trasformato Je t’aime… moi non plus di Serge Gainsbourg nel brano più censurato al mondo) o Cristiano Malgioglio (il titolo del libro si rifà alla sua L’importante è venire: il censore fece cambiare il verbo con finire, ma a restituire carica erotica al brano pensò la voce di Mina). Bastava cantare versi che parlavano di «letto» (Bella senz’anima di Cocciante o Sei bellissima di Loredana Berté), «giochetti da impazzire» (Niente da capire di De Gregori), «un’ora d’amore» (Per fare un uomo dei Nomadi) o interpretare un pezzo in modo troppo provocante (chiedere a Jula de Palma). Ma guai anche a parlare di amori non matrimoniali (vedi Albergo a ore di Herbert Pagani) o ad avere atteggiamenti equivoci: lo sapeva bene Umberto Bindi, espulso per anni da radio e tv per la sua omosessualità.
Non andava meglio a chi era disinvolto con la politica e la religione, almeno agli occhi del censore: disco rosso quindi per Notte di Natale di Baglioni («Dio, tu stai nascendo e muoio io»), Sono un simpatico di Celentano (amputata dell’introduzione in cui il Molleggiato sembrava bestemmiare) e, prima ancora, per La novia di Tony Dallara. Non si poteva parlare di suicidi, aborti (chiedere a Nannini ed Elio e le Storie Tese), droga e nemmeno di mafia: quando ci provarono i Giganti, con Terra in bocca, non riuscirono a passare in radio. Veto anche sulle parolacce: o saltava l’intera canzone (vedi Il mio palcoscenico della Berté, Adius di Piero Ciampi o L’avvelenata di Guccini), o saltava la parola, magari con l’intervento del “bip”.

A scorrere le pagine, a parte i casi più noti come la “nomade” Dio è morto o 4/3/1943 di Dalla, si scoprono alcuni artisti “abbonati” alla censura: Fabrizio De André, Giorgio Gaber, i Nomadi, ma anche insospettabili come Domenico Modugno o Sergio Endrigo; si ricordano episodi incredibili, come per i Dik Dik (che non potevano cantare Help me), i Cugini di Campagna (che davano fastidio per il falsetto di Paulin e per un brano come Preghiera che parlava del suicidio) o persino Lucio Battisti (Dio mio no era intrasmettibile e ancora oggi se ne ignora l’esatto motivo). Sanremo, poi, emerge come ricettacolo di censure (oltre che di plagi) e abbia continuato ad esserlo pure di recente, anche se bersaglio dei censori di turno non era quasi più il sesso, dentro e fuori dall’Ariston.
C’è tutto questo nel libro di Maurizio Targa, assieme ad analisi sulla censura in epoca fascista, ottocentesca e all’estero. Ascoltatori e curiosi di ogni età possono trovare spunti di sicuro interesse in questa ricerca fatta con passione (e che fa perdonare alcune imprecisioni, specie nei testi): il filo rosso della censura arriva sino a oggi ed è avvincente seguirne il percorso in tutte le sue curve.

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